Opere 2021
Raccolte metafantafisiche delle cose.
di Marcello Francolini
Chi pensa mai alla singolarità delle parole che scegliamo di pronunciare nella quotidianità, come a tutte quelle che non scegliamo? Se ci pensiamo l’atto di nominare è in sé come la linea di contorno di un disegno, quel limite rappresenta lo spazio entro cui qualcosa si rivela, una parola, una forma. Una volta nominata la tratteniamo come significato, come chiuderla in una scatola. Anche chiudere in scatola è un prelevare e riporre dal tutto qualcosa, sottrarlo al flusso del tempo e fermarlo nella memoria. Così il significato finale del suo contenuto si estende oltre all’evidenza fisica delle cose prelevate, giacché esse tutte insieme ci dicono qualcosa di colui che così come le ha disposte, ha nominato qualcosa di sé. Guardando alle “scatole” della Cuccurullo, al suo contenuto, le foglie non sono propriamente tali, sono foglie di foglie, ve ne sono di bianche come la calce, di nere come il carbone e solo alcune più preziose luccicano d’oro. L’oscurità è la condizione di partenza, l’indiscernibilità e la confusione; il bianco è ciò che genera riflessione della luce, rende nitidi i significati in una condizione consapevole, la conoscenza; l’oro è manifestazione della luce, è agire pratico per il bene, per il vero. L’artista dice che è un erbario, in un modo però che non ne esaurisce il significato ma solo lo apre. In effetti gli erbari sono classificatori di tipi, in questo caso non v’è né che un solo tipo. V’è una medesima forma ridondante come la voce di Eco, a suggellare la stessa foglia non tanto come imitazione di un certo tipo fra tipi, ma come una forma-figura sintesi dell’intera flora. In altro modo potremmo pensare a queste “scatole” come a riponimento di ciò che resta d’una colonna corinzia, intesa come massimo valore della veritas colta dalle qualità del femminile. Fu un cestello, che per la sua funzione di riporre beni del defunto è alla stessa stregua della nostra scatola, che piazzato sopra un’agave la costrinse a crescere abbracciata. Questo modo della natura di cingere la memoria della fanciulla incontrò lo sguardo di Callimaco che ne fece ghirigori di forme frondute per temperare la colonna corinzia nata mimando le gambe esili di quella vergine, cosicché da arricchire lo sguardo sul mondo, annettendo al “virile” dorico il “virginale” corinzio. Ed è proprio questa possibilità di poter guardare un’opera che lascia andare i pensieri oltre l’attuale che fa dell’Erbario non un semplice oggetto, ma bensì uno specchio in cui riconoscere il significato che ognuno dà alle cose del mondo. Narciso o Eco.